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Talkhouse [26.05.2021]

Il regista Robert Machoian rivela la storia che si nasconde dietro al documentario Notes From a Quiet Town, realizzato come compagno del nuovo album dei Killers.

Nel Giugno del 2021 ho ricevuto una telefonata inaspettata da Brandon Flowers. La sua band, i Killers, stava lavorando ad un album più tranquillo sulla città in cui era cresciuto, e voleva sapere se fossi interessato a collaborare assieme per un video. Sono cresciuto suonando in band ska e punk, e ho nutrito sogni di diventare un musicista professionista, così sono stato entusiasta dell’idea di poter lavorare con musicisti e ho programmato di incontrare Brandon per colazione.

Dopo quella breve telefonata ho iniziato a pensare ad idee, qualcosa di interessante che potessimo fare assieme, ma mentre mangiavamo, e parlavamo, è diventato chiaro che ciò che voleva era qualcosa di più di un video musicale, un progetto più lungo che catturasse l’essenza della vita in una cittadina. Ho scoperto che era cresciuto a Nephi, in Utah, una cittadina distante circa un’ora da dove vivo attualmente. Mentre parlava della sua vita, e delle esperienze che hanno ispirato l’album, ho iniziato a capire che siamo cresciuti in ambienti molto simili.

Sono nato e cresciuto a King City, in California, un paesetto di campagna della parte centrale dello Stato, a 800 miglia da Nephi. Come abbiamo poi scoperto, la popolazione delle nostre cittadine era più o meno la stessa. L’agricoltura e la gestione dei ranch erano, allo stesso modo, al centro di entrambe. Il lento approccio al cambiamento, la tragedia di giovani che muoiono, le combriccole, le divisioni alle superiori – tutto era simile, in un modo che la maggior parte di chi viene da fuori vede le piccole cittadine Americane. Ma c’erano anche sottili differenze che definivano ognuna. Più parlavamo, più diventava ovvio che avremmo dovuto creare un documentario sulla vita in una cittadina. Brandon mi ha detto che avrei potuto girare dove preferivo, ma più parlava delle sue esperienze adolescenziali, più diventava ovvio che, avendo lui scritto canzoni su Nephi, era di essa che doveva parlare anche il documentario.

Il giorno dopo ho guidato verso Nephi e camminato in giro per il paese. Ho parlato con le persone nelle loro verande. Ho catturato immagini di cavalli, di bambini che guidavano auto da golf, la fabbrica della Jones. Ho mangiato al Nebo Queen, e ho provato le patatine all’inglese di cui Brandon mi aveva parlato. Sono tornato a casa e quella sera ho ascoltato l’album, più e più volte. Con le parole delle canzoni che mi riempivano la mente, è diventato ovvio che forse non sarei mai riuscito a rendere giustizia a Nephi, o alle parole che Brandon aveva scritto e le canzoni che i Killers avevano suonato sulla cultura e le persone di questa cittadina. Ma mentre parlava delle canzoni, delle persone che le avevano influenzate, e delle esperienze che avevano formato certi testi è stato chiaro che questo documentario non dovesse essere su Nephi, ma su Brandon che scriveva di Nephi. Ho deciso di girare un film come se l’album venisse creato in quel momento, come se stessimo fluttuando, e i versi delle canzoni fossero trasportate dal vento.

Appena ho capito quale fosse il miglior approccio, tutto ha iniziato a girare per il verso giusto. Ho scelto Scott Christopherson per produrre il documentario e Peter Albrechetsen per curare il suono, e mi sono fatto dare da Brandon gli stem (ogni traccia strumentale e vocale delle canzoni) dell’album, in modo che potessimo creare un poema visivo per il film, piuttosto che un documentario vero e proprio. Poi Scott è andato a Nephi per incontrare il sindaco e altre persone del paese. Tutti sono sembrati d’accordo con l’idea del film, porte aperte, e gli abitanti sono stati assolutamente collaborativi e gentili. Quel giorno si è trasformato in un mese e mezzo di viaggi verso e da Nephi, per catturare posti che facevano parte della cultura della cittadina e ascoltare persone che condividevano le storie delle loro vite – come erano arrivati a Nephi, come si erano incontrati, le tragedie, ciò che amavano e sognavano. È stata una delle estati più belle che ho passato da parecchio tempo.

Tornato a casa, con ore di girato, ho iniziato ad assemblare il film. L’approccio che continuava a venirmi in mente era che fossi nella mente di Brandon, e che le canzoni o i versi stessero fluttuando nell’aria. Mi aveva detto che tiene delle note sul telefono, e scrive i versi man mano che gli vengono. È solo quando la band si trova in studio che inizia a creare le canzoni vere e proprie. Mi sono chiesto, riuscirei a fare lo stesso? Così ho montato il film in questo modo, cercando di catturare l’idea di un sogno, o della mente di qualcuno che girovaga durante il giorno. Cercando di tenere sotto controllo la mia mente, mi sono reso conto che i nostri pensieri sono frammentati; saltiamo sempre da un’idea all’altra, fluttuiamo da un pensiero all’altro, con fili solitari che connettono le idee. Pensavo al girato di una donna che avevamo ripreso al Nebo Queen, che aveva sposato il suo fidanzatino delle superiori, e poi una coppia che si era a sua volta sposata giovane, ma negli anni ’70. Potevo in qualche modo collegarli? Passato e futuro? Quando pensiamo, pensiamo in base al tempo? Ho vent’anni quando penso ad esperienze che sono successe quando avevo vent’anni? Ho continuato: l’innocenza della fanciullezza, contro la realtà dei genitori che crescono quei bambini, e una giovane coppia i cui primi figli stanno passando dalla giovinezza ad essere a loro volta genitori. La mia mente continuava a correre, e mentre correva e saltava, ho cercato di analizzare quell’approccio, e poi ho provato a montare in quel modo, finché sono arrivato alla fine del film.

Poi l’ho mandato a Peter, che ha fatto tutto ciò che speravo e anche di più. Con il suono, ha aggiunto aspetti della mente che non ero stato in grado di comunicare con il solo montaggio, l’altra metà necessaria per l’idea. Quando guardi alla tua vita passata, ne vedi dei frammenti, piccoli ricordi, come film nella propria testa, ma si sentono anche suono, parole che fluttuano, cose che sono state dette, o ricordate in un modo specifico, vero e falso che esistono nello stesso spazio. Ho immaginato tutto ciò come se Brandon stesse pensando a Nephi, le parole che gli venivano in mente, che sono poi risultate nell’album. Il suono sembrava perfetto.

Ammetto che mi sono perso così tanto in questa idea che non ho neanche pensato cosa Brandon e i Killers avrebbero pensato di questo film. Mentre finivo Notes on a Quiet Town, e l’ho poi inviato a Brandon, sono diventato molto nervoso. È stata la prima volta che ho capito che la band avrebbe potuto rispondere, “Che diamine è questa cosa?” “Non è ciò di cui avevamo parlato!” Questo film era radicale, e mi sono preoccupato che ciò che avevo cercato di comunicare a Brandon mentre ci lavoravo forse poteva non essere chiaro. Qualche ora di nervosismo più tardi, è arrivato un messaggio: “Lo adoro.” Ogni ansia nel mio corpo si è disciolta, e sono rimasto solo con un grande orgoglio. Mai nella mia vita mi era mai stata data così tanta libertà per cercare di creare qualcosa come questo progetto. È stato, sotto molti punti di vista, un sogno che diventa realtà.

FonteTalkhouse